Onorevoli Colleghi! - Il Corpo di polizia penitenziaria, nella sua regolamentazione attuale, nasce con la legge 15 dicembre 1990, n. 395, dalle ceneri del Corpo degli agenti di custodia e di quello delle vigilatrici penitenziarie. Con questa legge il Corpo viene chiamato a fare parte delle Forze di polizia ed assume nuovi compiti, quali quelli delle traduzioni dei detenuti e internati e del servizio di piantonamento dei detenuti e degli internati ricoverati in luoghi esterni di cura, rendendosi in questo modo operativo anche all'esterno degli istituti penitenziari.
      La presente proposta di legge prende spunto dallo stato di emergenza - ormai strutturale - in cui versa il Corpo di polizia penitenziaria e tutto il personale penitenziario e mira ad apportare miglioramenti - questi sì da rendere strutturali e permanenti - a quanto disposto nella legge n. 395 del 1990.
      Il punto è che nei confronti del personale penitenziario si è sempre seguita una politica sbagliata ed insufficiente, tanto da avere l'impressione all'esterno che di tutto ci si occupasse tranne che dell'efficienza della macchina burocratica.
      A cominciare dalla consistenza numerica dell'organico in servizio e dalla disponibilità delle strutture: di fronte all'aumento dei detenuti, l'incremento delle strutture e del personale di custodia non è stato adeguato, tenuto conto anche delle nuove esigenze che richiedono ai nuovi assunti maggiore professionalità, la resa di servizi sempre più numerosi e sofisticati (si pensi ad esempio alla sorveglianza dei detenuti a domicilio). A ciò si aggiunga una sperequata distribuzione del personale tra i vari istituti legata, da un lato, alla particolare qualità di alcuni detenuti che richiedono una custodia rafforzata, dall'altra, ad una persistente e marcata non propensione dei residenti nel nord dell'Italia a chiedere di non entrare nei ruoli del personale penitenziario, il che comporta il trasferimento di personale che

 

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giustamente aspirerebbe a rimanere nelle regioni di residenza. Non si dimentichi, a questo proposito, che il lavoro svolto nei penitenziari - poco riconosciuto all'esterno e poco gratificante - è sempre in bilico tra le esigenze confliggenti della custodia e quelle del trattamento rieducativo e lo svolgimento di queste mansioni è ancora più pesante se chi è chiamato a farlo si sente un «emigrante forzato» che - per di più - non trova nell'espletamento dei suoi compiti neppure un supporto morale e materiale. A tale proposito, la presente proposta di legge prevede che da parte dell'Amministrazione penitenziaria si pongano in atto iniziative ai fini di agevolare la residenza del personale fuori sede, anche attraverso la ristrutturazione delle caserme degli agenti e la loro trasformazione in alloggi dignitosi.
      Ad aggravare il quadro complessivo della situazione, si aggiunga la mancanza di personale amministrativo (operatori e collaboratori), nonché la mancata previsione per il Corpo di polizia penitenziaria dei cosiddetti «ruoli tecnici», peraltro presenti negli altri corpi appartenenti alle Forze di polizia; all'interno delle carceri non vi sono elettricisti, idraulici, tecnici degli impianti di sicurezza, operatori informatici, né tantomeno medici di polizia penitenziaria, vi è un numero esiguo di infermieri di ruolo, non vi sono psichiatri e psicologi di ruolo il cui intervento tempestivo può evitare che una situazione di tensione si tramuti in crisi o, peggio ancora, in tragedia.
      Questo spiega il perché della previsione dei ruoli tecnici, fatto salvo il diritto a rimanere nel ruolo di appartenenza, seppure in esaurimento, per coloro che non intendessero transitare nelle suddette nuove figure professionali.
      Deve essere chiaro che la presente proposta di legge non vuole favorire nessuno, anzi mira a sanare una situazione di evidente disparità e di malessere ormai dilagante fra il personale dell'Amministrazione penitenziaria, il quale si sente soggetto passivo di una continua, affannosa, perdente rincorsa sotto tutti gli aspetti che abbiamo evidenziato; è, ormai, necessario affrontare il problema non nell'ottica dell'emergenza bensì della stabilità al fine di creare all'interno dei penitenziari un clima disteso e di collaborazione tra chi custodisce e chi è custodito.
 

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